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I sette colli di Pola e di Roma e il nostro logo #BagsFree #BonBags

Tutti conoscono i sette colli di Roma (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale, Viminale), ma quanti sanno che anche la città istriana di Pola è famosa per i suoi sette colli? In ordine, a memoria (mio zio Marco, buonanima, scriveva su “Difesa Adriatica”, storico giornale dei profughi istriani e giuliano dalmati), sono Castagner, Monvidal, San Micel, Zaro, San Martin, Arena e Castel (o se preferite Castello, Zaro, Arena, San Martino, Abbazia di San Michele, Mondipola e Pragrande).

E tutti conoscono il Colosseo o l’Arena di Verona, gli Anfiteatri romani più famosi al mondo, ma quanti conoscono l’Anfiteatro di Pola, anch’esso, come l’Arena di Verona, tuttora utilizzato per spettacoli e rappresentazioni?

L’arena di Pola (chiamato anche anfiteatro di Pola) è per grandezza il sesto nel suo genere. Il suo nome deriva dal latino ărēna, che indica la sabbia che ricopriva le platee degli anfiteatri romani. Tra i polesi il monumento emblema della città, dal grandissimo valore simbolico ed affettivo, è chiamato solitamente Rena, dal dialetto istroveneto.
L’anfiteatro venne costruito tra il 2 a.C. ed il 14 d.C. sotto l’imperatore Augusto, prelevando il materiale dalle note cave di pietra situate alla periferia della città ed ancora oggi esistenti. In seguito, l’imperatore Vespasiano, che aveva commissionato il Colosseo a Roma, lo fece ampliare (secondo la leggenda, egli voleva rendere omaggio ad una sua amante del luogo).
Come il Colosseo, veniva utilizzato prevalentemente per combattimenti di gladiatori o per naumachie.
(fonte: Wikipedia)

Nel nostro logo l’anfiteatro raffigurato è proprio quello di Pola. Bags Free, come Celivery, come Walking On Francigena, è una iniziativa imprenditoriale della Bon Bags, di Valentina Bon, ma anche del papà Olindo Bon, che domani saluteremo, in attesa di riunirci anche a lui, quando verrà anche il nostro momento di salutare la vita terrena.

L’anfiteatro nel logo è un’omaggio di una figlia a suo padre…

Mettiamo qui una galleria di foto, alcune d’epoca, prese dal sito “Istria Culture”, così avrete modo non solo di riconoscerlo, ma anche, se volete, di andare a vederlo dal vivo. Pensando ad Olindo ed alla sua famiglia.

#BagsFree 1977-2016, quasi quarant’anni di Estate Romana

La data del 1977 non è una data che si ricorda solitamente con una valenza positiva. Il cosiddetto movimento del settantasette in Italia è visto dai più come l’esplosione in forma violenta delle tensioni latenti da tempo nella società italiana, attraverso fenomeni come la lotta armata di frange giovanili e il terrorismo, che a partire da quella data conobbe il periodo più sanguinoso.

Almeno a Roma però ebbe una valenza positiva, che si muoveva in controtendenza rispetto ai terribili fenomeni di cui sopra. Creando cultura anzichè distruggerla. Era assessore alla Cultura un eclettico e strano personaggio, un visionario per tanti aspetti, Renato Nicolini si chiamava, che ebbe l’idea di dare vita a quella che da allora in poi si chiamò l'”Estate Romana” (a questo link un bel documentario realizzato in occasione dei trent’anni dell’evento).

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Chi scrive aveva quattordici anni nel 1977, a settembre avrebbe frequentato il primo anno del liceo ginnasio, come si chiamava allora il liceo classico. Era abituato alle lunghe e caldissime estati romane, negozi chiusi per buona parte di luglio e tutto agosto, cinema a volte chiusi, a volte impossibili da frequentare per il troppo caldo che faceva nelle sale, televisione che non trasmetteva altro che repliche dei mesi invernali…

Beh, quell’anno, lo strano personaggio di cui sopra, me lo ricordo con degli indomabili capelli ricci e le inguardabili giacche a quadrotti, talvolta il papillon, ebbe l’idea di animare l’estate promuovendo il cinema alla Basilica di Massenzio, ed altre iniziative che, visto il successo, si sparsero a macchia d’olio, colorando anche il grigiume uniforme delle periferie, i palazzoni del Tuscolano e del Prenestino, i grattacieli di Donna Olimpia, gli orrendumi, così li definivo, di Corviale e Torbellamonaca.

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Oh, non tutto in quell’anno, si intende. Nemmeno lo strano personaggio poteva far miracoli in un colpo solo ed in un anno solo, ma da quell’estate 1977, il contagio della cultura, trasformata in voglia di condividere e di stare insieme, da voglia di colori estivi, il giallo e l’arancione del sole, il bianco lancinante della neve, l’azzurro abbacinante del cielo terso opposti al rosso e nero del sangue della violenza terrorista, alllo scuro del chiudersi nelle case dai muri arroventati, da quell’estate 1977, l’iniziativa “Estate Romana” non si sarebbe più fermata.

Quello strano personaggio ed i pochissimi, anche del suo stesso partito, che gli andavano dietro nella sua visione, diede vita a qualcosa a cui da allora in poi nessun sindaco avrebbe rinunciato, perchè glielo chiedeva tutta la città, di qualsiasi colore politico fossero i suoi elettori.

L’Estate Romana tradizionalmente inizia a giugno e finisce a fine settembre di ogni anno. Gli appuntamenti si sono moltiplicati e diversificati, anche se, a mio parere, il cinema nelle piazze e nelle arene storiche e non, resta forse l’evento che è ancora quello più caratterizzante.

Siamo nel 2016, il terrorismo rosso e nero in buona parte ce lo siamo lasciati alle spalle, ma non mancano certo, a Roma come altrove, i motivi di preoccupazione, a volte di angoscia, per il che fare delle e nelle nostre città.

L’Estate Romana, nel 2016 come nel 1977, serve a darci la speranza di un futuro migliore, di un vivere più rilassato, di colori più allegri, di arcobaleni che sorgono nell’animo.

Da quando esiste, anche Bags Free fa parte dell’Estate Romana! Come un servizio che non si spegne mai, che è sempre attivo, dal 1 giugno a Ferragosto (compreso!), fino alla fine di settembre.

Perchè, a ciascuno nel suo modo e con le sue dimensioni, anche il nostro servizio serve a far si che il nostro cliente possa apprezzare al meglio Roma, le sue bellezze, la frescura delle sue fontane, i colori accesi dei suoi parchi, i panorami colorati del Centro come di tante periferie.

Godetevi allora, anzi godiamoci, l’Estate Romana 2016 che sta per partire, il programma lo trovate a questo link. E di volta in volta cercheremo di segnalarvi su questo nostro blog e sulla nostra pagina Facebook i suoi eventi più significativi.

#Bags Free celebra con Roma il Giorno della Memoria

Oggi, 27 gennaio, è il cosiddetto Giorno della Memoria, in cui si ricorda lo sterminio del popolo ebraico pianificato e tentato dai nazisti e dai loro alleati prima e nel corso della seconda guerra mondiale.

Il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta «Arbeit macht frei» (Il lavoro rende liberi), apparve l’inferno. E il mondo vide allora per la prima volta da vicino quel che era successo, conobbe lo sterminio in tutta la sua realtà. Il Giorno della Memoria non è una mobilitazione collettiva per una solidarietà ormai inutile. È piuttosto, un atto di riconoscimento di questa storia: come se tutti, quest’oggi, ci affacciassimo dei cancelli di Auschwitz, a riconoscervi il male che è stato.

Auschwitz è il nome tedesco di Oswiecin, una cittadina situata nel sud della Polonia. Qui, a partire dalla metà del 1940, funzionò il più grande campo di sterminio di quella sofisticata «macchina» tedesca denominata «soluzione finale del problema ebraico». Auschwitz era una vera e propria metropoli della morte, composta da diversi campi – come Birkenau e Monowitz – ed estesa per chilometri. C’erano camere a gas e forni crematori, ma anche baracche dove i prigionieri lavoravano e soffrivano prima di venire avviati alla morte. Gli ebrei arrivavano in treni merci e, fatti scendere sulla cosiddetta «Judenrampe» (la rampa dei giudei) subivano una immediata selezione, che li portava quasi tutti direttamente alle «docce» (così i nazisti chiamavano le camere a gas). Solo ad Auschwitz sono stati uccisi quasi un milione e mezzo di ebrei.

Shoah è una parola ebraica che significa «catastrofe», e ha sostituito il termine «olocausto» usato in precedenza per definire lo sterminio nazista, perché con il suo richiamo al sacrificio biblico, esso dava implicitamente un senso a questo evento e alla morte, invece insensata e incomprensibile, di sei milioni di persone. La Shoah è il frutto di un progetto d’eliminazione di massa che non ha precedenti, né paralleli: nel gennaio del 1942 la conferenza di Wansee approva il piano di «soluzione finale» del cosiddetto problema ebraico, che prevede l’estinzione di questo popolo dalla faccia della terra. Lo sterminio degli ebrei non ha una motivazione territoriale, non è determinato da ragioni espansionistiche o da una per quanto deviata strategia politica. È deciso sulla base del fatto che il popolo ebraico non merita di vivere. È una forma di razzismo radicale che vuole rendere il mondo «Judenfrei» («ripulito» dagli ebrei).

(testo di Elena Loewenthal per La Stampa)

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La gran parte della memoria ebraica romana è contenuta nel quartiere situato dietro la Sinagoga, sul Lungotevere, di fronte all’Isola Tiberina. I romani lo chiamano “ghetto” e lo frequentano spesso, oltre che per la memoria, per la bellezza dei suoi scorci, l’antichità delle sue memorie, il profumo della sua cucina.

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Di seguito qualche informazione e qualche consiglio gastronomico.

DOV’E’ IL GHETTO?

La zona che i romani oggi indicano come “ghetto” è all’incirca delimitata da Via Arenula, Via dei Falegnami, Via de’ Funari, Via della Tribuna di Campitelli, Via del Portico d’Ottavia e Lungotevere de’ Cenci.

Il ghetto storico era, invece, molto più ristretto e situato, pressappoco, tra le attuali via del Portico d’Ottavia, piazza delle Cinque Scole ed il Tevere.

La sorte di quella zona venne decisa nel 1875, quando il Parlamento deliberò e finanziò la costruzione dei famosi “muraglioni” di arginatura, per difendere Roma dalle piene del suo fiume. Infatti, il solo sventramento necessario alla creazione dello spazio per il tracciato del lungotevere, avrebbe comportato la demolizione di circa metà del vecchio ghetto.

Con l’occasione, si decise di portare a termine una più radicale opera di risanamento, che si concretizzò nel radere al suolo praticamente ogni edificio del vecchio ghetto e nella creazione degli attuali quattro isolati.

Dopo il 20 settembre 1870, gli ebrei romani hanno stabilito la loro residenza anche in altre zone della città, pur mantenendo un attaccamento particolare per la vecchia area del ghetto, all’interno del quale, o nelle sue immediate vicinanze, sono tuttora situati i principali punti di riferimento della comunità ebraica romana.

LA CUCINA DEL GHETTO

Il brodo di pesce, specialità culinaria oggi di nuovo in voga e considerata anzi una prelibatezza, nasce dalla prossimità del ghetto romano con la zona più degradata e più sporca della città, accanto al complesso monumentale augusteo, attorno al Teatro di Marcello che, durante il Medioevo, divenne il mercato del pesce di Roma: la vicinanza del Tevere e del porto fluviale di Ripa Grande garantivano un comodo approdo alle barche provenienti daOstia, pronte a riversare sul mercato il pesce migliore.

Tutti gli scarti venivano accatastati nei pressi della chiesa di Sant’Angelo in Pescheria[10], chiesa che diede anche il nome allo stesso rione, il Rione Sant’Angelo. Tutte le donne ebree (la maggior parte della popolazione era assai povera) andavano a raccogliere gli scarti del mercato: teste, lische e pesci, o parti di pesce, meno nobili. L’unico modo di utilizzare gli scarti era cucinarli con l’acqua. Nacque così uno dei piatti della Roma popolare ed in particolare del ghetto: il brodo di pesce, allora una ricetta semplice e povera ed ora uno dei piatti più richiesti nei ristoranti della zona.

Sempre a riguardo del mercato del pesce, sulla parte destra del porticato di Sant’Angelo è murata una lapide, di 1,13 metri, con una iscrizione latinache ricorda l’obbligo di consegnare ai Conservatori dell’Urbe, magistratura elettiva cittadina, la testa ed il corpo, fino alla prima pinna (usque ad primas pinnas inclusive), di ogni pesce più lungo della lapide stessa. La parte richiesta è spesso la parte più gustosa del pesce.

A Sant’Angelo in Pescheria è legato, inoltre, un ricordo storico relativo ad un personaggio importante del medioevo romano: Cola di Rienzo che, dalla mezzanotte della vigilia di Pentecoste del 1347 sino alle dieci del mattino seguente, assistette in questa chiesa a trenta messe dello Spirito Santo per poi salire in Campidoglio, scortato da un centinaio di uomini e preceduto da tre gonfaloni, ove proclamò, di fronte al popolo romano, i suoiordinamenti dello buono stato.

Un altro piatto tipico della cucina giudaico-romanesca, presente nei menù dei ristoranti della zona, sono i carciofi alla giudia: carciofi del tipo romanesco fritti in olio abbondante.

#Bags Free vi presenta la Stazione Termini com’era negli anni Trenta

Visto l’interesse suscitato da uno degli ultimi post del 2015, iniziamo il 2016 di questo blog proponendovi di nuovo alcune immagini  della Stazione Termini, nostra principale sede operativa (via del Castro Pretorio 32, a pochissimi metri dal binario 1) come era negli anni Trenta del secolo scorso.

Una quantità incredibile di tram, mezzo ecologico per eccellenza, poi abbandonato e che ora si cerca di recuperare, 6 binari al posto degli attuali 28, la segnaletica manuale, ora completamente automatizzata, emergenze a parte.

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Con #BagsFree domattina a Palazzo Massimo! #LightHoliday

Domattina, domenica 4 ottobre 2015, un’occasione da non perdere per tutti gli amici ed i clienti, passati, presenti e futuri, di Bags Free! Visita guidata gratuita alle ore 9, con la nostra guida turistica di fiducia, Carlo Bon.

Appuntamento alle ore 9 all’ingresso principale di Palazzo Massimo, Museo Nazionale Romano, Largo di Villa Peretti 1 (tra la Stazione Termini e Piazza della Repubblica).

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L’ottocentesco palazzo in stile neorinascimentale, nei pressi della Stazione Termini, accoglie una delle più importanti collezioni di arte classica al mondo. Nei quattro piani del museo, sculture, affreschi, mosaici, monete e opere di oreficeria documentano l´evoluzione della cultura artistica romana dall’età tardo-repubblicana all’età tardo-antica (II sec. a.C. – V sec. d.C.), attraverso un itinerario espositivo nel quale rivivono la storia, i miti e la vita quotidiana di Roma.

Nelle sale del piano terra sono esposti splendidi originali greci rinvenuti a Roma, come il Pugile , il Principe ellenistico e la Niobide dagli Horti Sallustiani, e la ritrattistica di età repubblicana e imperiale, culminante nella statua di Augusto Pontefice Massimo.

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Al primo piano sono presentati celebri capolavori della statuaria, tra cui il Discobolo Lancellotti, la Fanciulla di Anzio e l’Ermafrodito dormiente, e magnifici sarcofagi, come quello di Portonaccio, con una scena di battaglia scolpita in altorilievo.

Al secondo piano, pareti affrescate e mosaici pavimentali documentano la decorazione domestica di prestigiose residenze romane.

Il piano interrato custodisce l’ampia collezione numismatica, oltre a suppellettili, gioielli e la mummia di Grottarossa.

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Con #BagsFree dalla Stazione Termini… alla Stazione Quaresimale!

Il tempo liturgico della Quaresima, come lo si vive nelle chiese cristiane, è un tempo privilegiato per un cammino di ricerca e di cambiamento che aiuti a ritrovare l’unità interiore: si cambia con la disciplina del cuore.

A Roma, fin dal IV-V secolo, la Quaresima è caratterizzata dalle “Stazioni Quaresimali”, un percorso liturgico attraverso le chiese della città. L’usanza è rimasta tale nella Chiesa cattolica.

Perchè “Stazione”? Perchè ci si deve arrivare, ci si sosta, poi si riparte verso un luogo diverso da quello di partenza. Ogni tappa è quindi caratterizzata da una celebrazione liturgica che prevede un breve cammino, la sosta per la preghiera e la celebrazione eucaristica, la ripartenza verso la tappa del giorno successivo (in senso ‘fisico’) e la ripartenza verso una nuova esistenza in Cristo (in senso spirituale).

Per chi è turista a Roma, in questo periodo, è anche una imperdibile occasione per visitare basiliche e chiese molto antiche, alcune aperte espressamente solo per questa occasione, altre normalmente aperte al culto.

Domenica 22 marzo 2015, la chiesa “Stazione Quaresimale” di turno è la bellissima basilica di San Pietro in Vaticano, che non ha certo bisogno di molte presentazioni…

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L’appuntamento è per le ore 16.50

Dal deposito di Bags Free ci si può arrivare tranquillamente con la linea A della Metro (scendere alla stazione Ottaviano-San Pietro) o con le linee bus 40 e 64.

Per chi volesse saperne di più, a questo link trova un documento della Diocesi di Roma che dettaglia tutti gli appuntamenti di questo periodo quaresimale.

Bags Free sulla Francigena – 1. Storia e Mappa

Un famosissimo proverbio dice che “tutte le strade portano a Roma”. Questo proverbio deriva dall’intensissima attività dei Romani volta a migliorare le vie di comunicazioni della Repubblica prima, dell’Impero poi. Tuttora, nel 2014!, le principali vie consolari (non a caso questo nome…) di accesso alla Città Eterna ricalcano i passi delle originali strade antiche. Si pensi all’Appia, alla Salaria, alla Flaminia, alla Cassia.

La Salaria permette di arrivare a Roma dalle saline dell’Adriatico (fondamentale avere l’accesso al sale per la conservazione dei cibi, in assenza del frigorifero!), passando per la zona del Reatino, la Cassia e la Flaminia consentono l’accesso a Roma da Nord, dalla Maremma Toscana e dal Viterbese.

Cassia e Flaminia sono le principali direttrici di accesso a Roma per i pellegrini che percorrono il famosissimo cammino della via Francigena.

Alberto Conte, sul sito ufficiale dedicato all’antichissimo itinerario, ne racconta magistralmente la storia:

Indicazione della Via Francigena

Indicazione della Via Francigena

Nell’Alto Medioevo, attorno al VII secolo, i Longobardi contendevano il territorio italiano ai Bizantini. L’esigenza strategica di collegare il Regno di Pavia e i ducati meridionali tramite una via sufficientemente sicura portò alla scelta di un itinerario sino ad allora considerato minore, che valicava l’Appennino in corrispondenza dell’attuale Passo della Cisa, e dopo la Valle del Magra si allontanava dalla costa in direzione di Lucca. Da qui, per non avvicinarsi troppo alle zone in mano bizantina, il percorso proseguiva per la Valle dell’Elsa per arrivare a Siena, e quindi attraverso le valli d ‘Arbia e d’Orcia, raggiungere la Val di Paglia e il territorio laziale, dove il tracciato si immetteva nell’antica Via Cassia che conduceva a Roma.Il percorso, che prese il nome di “Via di Monte Bardone”, dall’antico nome del Passo della Cisa, Mons Langobardorum, non era una vera e propria strada nel senso romano né tanto meno nel senso moderno del termine. Infatti, dopo la caduta dell’ impero, le antiche tratte consolari caddero in disuso, e tranne pochi fortunati casi finirono in rovina, “rupte”, tant’è che risale a quell’epoca l’uso della parola “rotta”per definire la direzione da prendere.

Duomo di Fidenza; pellegrini sulla Frnancigena

Duomo di Fidenza; pellegrini sulla Frnancigena

L’area di strada
I selciati romani lasciarono gradualmente il posto a fasci di sentieri, tracce, piste battute dal passaggio dei viandanti, che in genere si allargavano sul territorio per convergere in corrispondenza delle mansioni (centri abitati od ospitali dove si trovava alloggio per la notte), o presso alcuni passaggi obbligati come valichi o guadi. Più che di strade si trattava, quindi, di “aree di strada”, il cui percorso variava per cause naturali (straripamenti, frane), per modifiche dei confini dei territori attraversati e la conseguente richiesta di gabelle, per la presenza di briganti. Il fondo veniva lastricato solo in corrispondenza degli attraversamenti dei centri abitati, mentre nei tratti di collegamento prevaleva la terra battuta.
Appare, quindi, chiaro che la ricostruzione del “vero” tracciato della Via Francigena sarebbe oggi un’impresa impossibile, poiché questo non è mai esistito: ha invece senso ritrovare le principali mansioni e i principali luoghi toccati dai viandanti lungo la Via.

Nasce la Via Francigena
Quando la dominazione Longobarda lasciò il posto a quella dei Franchi, anche la Via di Monte Bardone cambiò il nome in Via Francigena, ovvero “strada originata dalla Francia”, nome quest’ultimo che oltre all’attuale territorio francese comprendeva la Valle del Reno e i Paesi Bassi.
In quel periodo crebbe anche il traffico lungo la Via che si affermò come il principale asse di collegamento tra nord e sud dell’Europa, lungo il quale transitavano mercanti, eserciti, pellegrini.


Il pellegrinaggio nel tempo

Tra la fine del primo millennio e l’inizio del secondo, la pratica del pellegrinaggio assunse un’importanza crescente.I luoghi santi della Cristianità erano Gerusalemme, Santiago de Compostella e Roma, e la Via Francigena rappresentò lo snodo centrale delle grandi vie della fede. Infatti, i pellegrini provenienti dal nord percorrevano la Via per dirigersi a Roma, ed eventualmente proseguire lungo la Via Appia verso i porti pugliesi, dove s’imbarcavano verso la Terrasanta. Viceversa i pellegrini italiani diretti a Santiago la percorrevano verso nord, per arrivare a Luni, dove s’imbarcavano verso i porti francesi, o per proseguire verso il Moncenisio e quindi immettersi sulla Via Tolosana, che conduceva verso la Spagna. Il pellegrinaggio divenne presto un fenomeno di massa, e ciò esaltò il ruolo della Via Francigena che divenne un canale di comunicazione determinante per la realizzazione dell’unità culturale che caratterizzò l’Europa nel Medioevo. 

Le fonti itinerarie
È soprattutto grazie ai diari di viaggio, e in particolare agli appunti di un illustre pellegrino, Sigerico, che possiamo ricostruire l’antico percorso della Francigena. Nel 990, dopo essere stato ordinato Arcivescovo di Canterbury da Papa Giovanni XV, l’Abate tornò a casa annotando su due pagine manoscritte le 80 mansioni in cui si fermò a pernottare. Il diario di Sigerico viene tuttora considerato la fonte itineraria più autorevole, tanto che spesso si parla di “Via Francigena secondo l’itinerario di Sigerico” per definire la versione più “filologica” del percorso.

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Crescita e decadenza della Via Francigena
L’uso crescente della Francigena come via di commercio portò a un eccezionale sviluppo di molti centri lungo il percorso. 
La Via divenne strategica per trasportare verso i mercati del nord Europa le merci provenienti dall’oriente (seta, spezie) e scambiarli, in genere nelle fiere della Champagne, con i panni di Fiandra e di Brabante. Nel XIII secolo i traffici commerciali crebbero a tal punto che si svilupparono numerosi tracciati alternativi alla Via Francigena che, quindi, perse la sua caratteristica di unicità e si frazionò in numerosi itinerari di collegamento tra il nord e Roma.
Tanto che il nome cambiò in Romea, non essendo più unica l’origine, ma la destinazione. Inoltre la crescente importanza di Firenze e dei centri della Valle dell’Arno spostò a Oriente i percorsi, fino a quando la direttrice Bologna-Firenze relegò il Passo della Cisa a una funzione puramente locale, decretando la fine dell’antico percorso.

(link diretto: http://www.viefrancigene.org/it/Itinerario/Storia/)

Cartina della Via Francigena

Cartina della Via Francigena

La cartina è ripresa dal sito internazionale della Francigena.

Roma 4 giugno 1944 – 2014

Oggi sono passati 70 anni dalla liberazione di Roma dalle forze di occupazione tedesca, quasi alla fine della seconda guerra mondiale. Le truppe angloamericane erano sbarcate ad Anzio e Nettuno il 12 gennaio 1944. Poi avanzarono lentamente, vincendo le ultime resistenze tedesche sulla cosiddetta Linea Gustav ed infine il 4 giugno entrarono nella Città Eterna con un atto dal fortissimo valore simbolico,

Due giorni dopo sarebbe avvenuto lo sbarco in Normandia, il D-Day, che avrebbe segnato la sconfitta tedesca sul fronte europeo occidentale.

(from Wikipedia)

In early October 1943, Hitler was persuaded by his Army Group Commander in Southern Italy, Field Marshal Albert Kesselring, that the defence of Italy should be conducted as far away from Germany as possible. This would make the most of the natural defensive geography of Central Italy, whilst denying the Allies the easy capture of a succession of airfields; each one being ever closer to Germany. Hitler was also convinced that yielding southern Italy would provide the Allies with a springboard for an invasion of the Balkans with its vital resources of oil, bauxite and copper.

Kesselring was given command of the whole of Italy and immediately ordered the preparation of a series of defensive lines across Italy, south of Rome. Two lines, the Volturno and the Barbara, were used to delay the Allied advance so as to buy time to prepare the most formidable defensive positions, which formed the Winter Line – the collective name for the Gustav Line and two associated defensive lines on the west of the Apennine Mountains, the Bernhardt and Hitler lines (the latter had been renamed the Senger Line by 23 May 1944).

The Winter Line proved a major obstacle to the Allies at the end of 1943, halting the Fifth Army’s advance on the western side of Italy. Although the Gustav Line was penetrated on the Eighth Army’s Adriatic front, and Ortona captured, blizzards, drifting snow and zero visibility at the end of December caused the advance to grind to a halt. The Allies’ focus then turned to the western front, where an attack through the Liri valley was considered to have the best chance of a breakthrough towards the Italian capital. Landings at Anzio during Operation Shingle, advocated by Churchill, behind the line were intended to destabilise the German Gustav line defences, but the early thrust inland to cut off the German defences did not occur, thanks again to the indecisiveness of the American commander and the Anzio forces became bottled up in their beachhead.

It took four major offensives between January and May 1944 before the line was eventually broken by a combined assault of the Fifth and Eighth Armies (including British, US, French, Polish and Canadian Corps) concentrated along a twenty mile front between Monte Cassino and the western seaboard. In a concurrent action, US General Mark Clark was ordered to break out of the stagnant position at Anzio and cash-in on the opportunity to cut off and destroy a large part of the German Tenth Army retreating from the Gustav Line between them and the Canadians. But this opportunity was lost on the brink of success, when General Clark disobeyed his orders and sent his US Forces to enter the vacant Rome instead. Rome had been declared an open city by the German Army so no resistance was encountered.

The US forces took possession of Rome on 4 June 1944. The German Tenth Army were allowed to get away and, in the next few weeks, were responsible for doubling the Allied casualties in that Campaign. General Clark was hailed as a hero in the US. The Canadians were sent through the City without stopping at 3:00AM the next morning.

Bags Free vi propone qualche foto d’archivio per ricordare.

Scene dell'occupazione tedesca - 1943

Scene dell’occupazione tedesca – 1943

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Lo sbarco ad Anzio e Nettuno – 12 gennaio 1944

4 giugno 1944 - Gli americani entrano a Roma, venendo dalla via Casilina

4 giugno 1944 – Gli americani entrano a Roma, venendo dalla via Casilina

4 giugno 1944 - Gli americani entrano a Roma, venendo dalla via Casilina

4 giugno 1944 – Gli americani entrano a Roma, venendo dalla via Casilina

Estate 1944

Estate 1944

Estate 1944 - Militare della RAF a Piazza San Pietro

Estate 1944 – Militare della RAF a Piazza San Pietro